Ricciotti Garibaldi. Presentazione del Quaderno di Camicia Rossa a Genova

Martedì 8 aprile, a Palazzo Ducale a Genova, si terrà la presentazione del Quaderno di Camicia Rossa dedicato a Ricciotti Garibaldi, figlio dell’Eroe dei due mondi, con la partecipazione di Raffaella Ponte (consigliera ANVRG nazionale), Enzo Baldini (Presidente della Sezione di Genova della ANVRG), Mirtide Gavelli (Curatrice del Quaderno) e Annita Garibaldi Jallet (Pronipote di Giuseppe e Presidente Onoraria ANVRG).

Ricciotti Garibaldi, nato a Montevideo nel 1847 e morto a Roma nel 1924, fu un personaggio complesso e difficile anche perché segnato da problemi fisici e caratteriali. A quattro anni era sfuggito, a Nizza, al controllo della nonna paterna Rosa, alla quale era stato affidato poco dopo il rientro in Europa dei genitori, ed era finito sotto la ruota di una carrozza che gli aveva quasi tranciato una gamba.

L’amputazione fu scongiurata grazie a un delicato intervento chirurgico e a lunghe cure da parte di Agostino Bertani, medico con forti ideali patriottici attivo a Genova e amico del padre che lo ringraziò da New York il 21aprile 1851 (“Voi avete salvato mio figlio”). Gli rimasero però conseguenze fisiche non marginali e con marcate ripercussioni sul suo carattere. Continuerà a zoppicare per tutta la vita, ma volontà e forza d’animo gli permisero di non farsi limitare più di tanto nelle sue scelte esistenziali.

Quindi, un’infanzia difficile, resa ancor più problematica dalla perdita della madre Anita, che lo aveva lasciato quasi in fasce a Nizza per raggiungere a Rieti nel febbraio 1949 il marito impegnato nella preparazione della difesa della Repubblica Romana; morirà qualche mese più tardi più tardi nelle Valli di Comacchio nel corso della drammatica fuga da Roma. E poi un padre assente e ingombrante, la repentina morte della nonna (1852), l’affidamento a otto anni di età all’amica paterna Emma Roberts, che lo porterà in Inghilterra per gli studi e per ulteriori cure mediche, ma che lo metterà ben presto in un collegio a Liverpool. Infine, l’inevitabile e impari confronto col padre, reso ancor più problematico dai continui e sovente infruttuosi tentativi di guadagnare la sua stima. 

Per di più, quando nel 1861 uscì quattordicenne dal collegio e poté finalmente raggiungere il padre a Caprera, riuscì a fermarsi solo pochi anni che non furono particolarmente sereni, anche perché trovò una realtà ormai per lui minuscola e soprattutto priva dell’affetto e delle attenzioni che auspicava. Certo, vi incontrò personaggi come Bakunin e nel 1864 poté accompagnare il padre in un viaggio trionfale a Londra, ma visse anche momenti dolorosi e se ne andò disapprovando apertamente il rapporto ormai stabile del padre con Francesca Armosino, che era peraltro di un anno più giovane di lui. 

Ce n’era abbastanza per assicurargli una vita tormentata e difficile, anche se a moderare alcune sue intemperanze e aggressività riuscirà poi l’azione vigile della moglie Constance Hopcraft, sposata a Londra nel 1874. Già l’anno successivo si rifugerà tuttavia con lei in Australia per sfuggire a situazioni debitorie, restandoci sino al 1881 (è qui che nacquero i primi dei suoi dieci figli, sette dei quali maschi).

Abbracciò a Roma iniziative economiche e finanziarie tanto spregiudicate quanto sfortunate, principalmente in ambito edilizio. Fu coinvolto in fallimenti così clamorosi da indurlo nel 1890 a dimettersi dal Parlamento nel quale era stato eletto appena tre anni prima. Condannato e obbligato a risiedere fuori Roma, scelse Riofreddo piccolo centro laziale nella valle dell’Aniene ai confini dell’Abruzzo, che divenne punto di riferimento per la numerosa famiglia, costretta a una vita frugale sotto il rigido controllo di “Donna Costanza”.

Seppe però anche farsi carico di rilanciare lo spirito e gli ideali del padre dopo la morte di questi, dando vita a una sorta di rinascita del garibaldinismo, o meglio, della complessa tradizione garibaldina e dell’internazionalismo in camicia rossa, sfruttando anche le proprie propensioni repubblicane e la propria popolarità tra le frange più radicali. Con lui il volontariato garibaldino seppe adattarsi ai tempi mutati e catturare vecchie e nuove generazioni di combattenti, sempre pronti ad accorrere in difesa di una causa di libertà e in soccorso di popoli oppressi. Successe dall’ultimo decennio dell’Ottocento sino alla Grande Guerra, a cominciare dall’intervento in difesa della Grecia contro l’impero ottomano nel 1897, che, nonostante la sconfitta, gli regalò riconoscimenti e la fama tanto auspicata. 

Generale molto apprezzato dai suoi garibaldini, aveva già aveva dato prova di valore combattendo agli ordini del padre a capo delle guide a cavallo nella terza Guerra d’Indipendenza a Bezzecca (1866), e poi a Mentana (1867) e a Digione (1870), dove fu l’unico a strappare una bandiera ai prussiani per poi consegnarla al padre, che però non lo nominò generale come aveva fatto invece con l’altro figlio Menotti. Sarà lui stesso ad autoassegnarsi il massimo grado militare quando inizierà le sue avventure di sommo referente della tradizione garibaldina.

Fedele a questa sua immagine, che cercherà di trasmettere ai figli, progetterà nuovi interventi armati nei Balcani e in Albania, ma realizzerà solo una breve e sfortunata campagna di nuovo in Grecia nel 1912, anche perché in una realtà politica e sociale mutata furono spesso le massime autorità a fermare i suoi disegni. Ormai vecchio e fiaccato dai malanni si assunse il ruolo di animatore di un fronte interno e di ispiratore dell’azione dei figli. Sei di loro (su sette) parteciparono, sotto la guida del primogenito Peppino, alla spedizione in aiuto della Francia nel 1914, e due, Bruno e Costante, morirono nella battaglia delle Argonne. Ricciotti ne ricavò una nuova ondata di attenzione e una rinnovata legittimazione, che cercò di mettere a frutto nella logica di un interventismo intriso di aggressivo nazionalismo.

È così che nel primo dopoguerra non esiterà ad appoggiare l’impresa di D’Annunzio, candidandosi anzi ad estenderla al Montenegro coi suoi volontari; fu bloccato dal presidente Nitti. Sempre in questa logica si collocava il suo atteggiamento, per la verità tutt’altro che deciso, in favore di Mussolini, che pure lo aveva dileggiato nel 1912 sull’“Avanti!” con un lungo articolo dall’emblematico titolo La fine di una tradizione, a proposito della campagna greca appena conclusa (“povero vecchio ormai ridivenuto fanciullo come suole accadere nella tarda senilità. […] Come la cavalleria medievale, anche la camicia rossa ha avuto il suo tempo”). Un atteggiamento per taluni aspetti riprodotto nella visita di Mussolini a Caprera del 1923, quando però Ricciotti si spinse a delineare, nel suo indirizzo di saluto, una continuità tra camicie nere e camicie rosse, affermazione alla quale fu data grande eco dal nascente Regime.

Lo seguì in questa adesione al fascismo, ma con maggiore entusiasmo, il figlio Ezio, che pure riceverà non poche delusioni, anche perché, nonostante l’accettazione di duri compromessi, aveva sperato ingenuamente di poter indossare insieme camicia rossa e camicia nera. L’altro figlio Sante, invece, si schiererà in Francia su posizioni decisamente antifasciste e subirà duri trattamenti nei campi di concentramento tedeschi, uscendone marcatamente segnato nel fisico e prossimo alla morte.

Tutto questo emerge con chiarezza dal Quaderno di “Camicia Rossa” Ricciotti Garibaldi (1847-1924), curato da Mirtide Gavelli e fresco di stampa, nel quale sono raccolti alcuni significativi interventi delle manifestazioni di Roma, Riofreddo e La Maddalena su Ricciotti, organizzate nella ricorrenza del centenario della morte.

Il Quaderno di “Camicia Rossa” costituisce quindi un solido punto di riferimento per la manifestazione genovese, che può usufruire anche delle recenti pubblicazioni su Ricciotti e può contare sulla partecipazione di studiosi di indubbia competenza e autorevolezza sulle vicende di un personaggio che nella sua lunga vita ha attraversato un periodo di enormi cambiamenti.