L’attuale porta S. Pancrazio, situata sull’altura del Gianicolo nel perimetro delle mura urbaniane o gianicolensi, fu costruita nel 1854-57 dall’architetto Virginio Vespignani sulle rovine della porta realizzata da Marcantonio De Rossi nel 1648 e semidistrutta durante le vicende belliche del 1849. A sua volta la porta seicentesca aveva sostituito l’antica porta Aurelia che si apriva nel recinto delle mura aureliane in posizione leggermente arretrata rispetto a quella odierna. Oggi la porta si presenta separata dal recinto murario da due varchi laterali, aperti per migliorare il collegamento viario con il quartiere di Monteverde sorto nel primo dopoguerra.
L’antica porta Aurelia e la porta urbaniana
Nel punto estremo delle mura aureliane (271-79) sul colle del Gianicolo dove la via consolare Aurelia vetus, che le diede il nome, usciva dalla città, fu aperta l’antica porta Aurelia. Chiamata anche Aureliana o Gianicolense, assunse la denominazione di “sancti Pancratii” nel VI secolo dal titolo della vicina chiesa dedicata al martire cristiano; in età medioevale fu nota anche come porta S. Brancaccio (evidente volgarizzazione di S. Pancrazio), Vitellia, Carmentale, Aurea, appellativo derivato dal toponimo “mica aurea” che designava la particolare colorazione della sabbia del terreno del Gianicolo.
La porta Aurelia era del tipo ad unico fornice con due torri laterali, che divennero quadrate con gli interventi dell’imperatore Onorio (403) – come del resto accadde ad altre porte della cinta. Aureliana, come ad esempio porta del Popolo – ed era dotata di controporta con bracci a tenaglia. Il suo prospetto esterno è documentato nelle piante di Roma antecedenti gli interventi di Urbano VIII, di particolare importanza sono quelle del Tempesta (1593) e del Maggi (1625). Entrambe le vedute mostrano il prospetto esterno della porta ma, mentre il primo raffigura il camminamento al di sopra dell’arco allo stesso livello delle torri laterali, il secondo, con più precisione, riporta il camminamento merlato, il portale bugnato e le torri svettanti e aggettanti con due aperture nella parte superiore di ogni fianco. Il Maggi, inoltre, non tralascia di evidenziare il degrado della muratura nelle torri e nel tratto di mura sulla destra, quello verso porta Portese, che risultano solcate da profondi segni neri, crepe e lesioni, a testimoniare la situazione molto grave dello stato di conservazione fatto che, da li a pochi anni, avrebbe spinto Urbano VIII a realizzare l’ampliamento della cinta muraria. Di grande rilievo è un’altra immagine della porta conservata in un codice vaticano e datata al 1633 dove si scorgono sullo sfondo dell’arco di ingresso la controporta e due basse costruzioni simmetriche dove risiedevano le guardie. Le torri laterali ci appaiono dirute nella parte superiore.
Per conoscere l’esatta localizzazione del manufatto originario e il suo rapporto con la cinta muraria si dimostra di grande aiuto la pianta del Nolli (1748), che, seppure successiva all’intervento barberiniano, mostra in tutta evidenza due bracci di mura (peraltro ancora oggi esistenti) che dovevano essere collegati con la porta, quello di sinistra monco, e con la controporta, quello di destra unito a delle costruzioni. Da questa planimetria e dai riscontri sia documentari, sia effettuati in situ è scaturita la ricostruzione molto verosimile che della zona ha ipotizzato il Cozza, l’archeologo che ha dedicato gran parte dei suoi studi alle mura aureliane.
Nel 1642 durante la guerra di Castro e sotto l’imminente pericolo di un attacco armato di Odoardo Farnese, duca di Parma, e dei suoi alleati il Barberini, pensando di incrementare il sistema difensivo del Gianicolo affidò la responsabilità del programma al cardinale Vincenzo Maculano, suo consulente esperto di architettura militare, che si avvalse della collaborazione di vari architetti, tra i quali Domenico Castelli e Marcantonio De Rossi, autore quest’ultimo delle nuove porte Portese e S. Pancrazio realizzate in posizione più avanzata rispetto alle antiche. I varchi in tali punti della cinta, infatti, rivestivano ancora un valore strategico, al contrario delle porte S. Spirito e Settimiana che persero la loro funzione.
Il potenziamento delle mura Aureliane con particolare riguardo al tratto del Gianicolo era un problema che avevano già cercato di risolvere i pontefici Pio III e Paolo IV nel secolo precedente. Il primo nel 1537, all’indomani del Sacco, aveva incaricato Antonio da Sangallo il giovane di ridisegnare il sistema difensivo della città e questi aveva inserito il Gianicolo nei tratti da fortificare, ma il progetto fu abbandonato per l’eccessivo costo. Il secondo, invece, sotto la minaccia dell’invasione spagnola si rivolse all’ingegnere militare Camillo Orsini che predispose (1556-57) in Trastevere un gigantesco trinceramento bastionato realizzato con terra e fascine, lasciando in muratura solo i tratti di S. Onofrio e S. Pancrazio perché quelli più esposti agli attacchi. Come si può immaginare, la soluzione, benché rispondente all’esigenza di rapidità d’esecuzione che la situazione richiedeva, aveva il limite di essere precaria e destinata ad un altrettanto rapido disfacimento.
La nuova porta, come detto, fu ricostruita alcuni metri più avanti e leggermente ruotata rispetto all’antica che non fu distrutta del tutto, come testimoniano le vedute e le piante posteriori. Infatti anche attraverso la ricostruzione del Cozza, si può affermare con molta probabilità che il fianco sud fu inglobato (o semidistrutto) nella nuova porta, quello nord fu distrutto, mentre rimase intatta la controporta che non perse la sua funzione. Interessanti a tal riguardo sono le incisioni del Rossini (1829) che ci mostrano ancora pressoché intatta l’antica controporta merlata.
L’intervento di Pio IX
Durante gli eventi bellici del 1849, che ebbero nel Gianicolo (da allora luogo caro a mazziniani e garibaldini) il fulcro dei combattimenti – i francesi, accorsi in aiuto di papa Mastai Ferretti, riuscirono ad aprire ben sette brecce nelle mura urbaniane -, la porta venne seriamente danneggiata sotto il cannoneggiamento francese.
Una volta di nuovo al potere, nell’ottobre di quello stesso anno Pio IX incaricò della verifica dello stato di conservazione e delle opere di sistemazione (eseguite celermente) delle mura danneggiate l’architetto Luigi Poletti, che nel 1851 fu sostituito da Virginio Vespignani. E proprio a quest’ultimo fu commissionata la sistemazione di porta S. Pancrazio che fu ricostruita sui resti della precedente. L’architetto camerale fu anche l’autore negli stessi anni della sistemazione di Porta Pia, in entrambe le costruzioni prese a modello l’Arco Trionfale antico, ma soprattutto nella porta trasteverina il risultato è molto più vicino a quello di un “edificio civile” accentuata com’è la tridimensionalità della struttura. La stabilità della costruzione simboleggia la ristabilita affermazione del potere pontificio: la Repubblica Romana considerata solo una breve parentesi non potendo, e forse non volendo, immaginare che di lì a poco lo stato delle cose sarebbe mutato per sempre.
Poderoso e ben difeso è il prospetto esterno sul quale campeggiano gli stemmi del pontefice regnante e di Urbano VIII, a testimoniare la continuità politica tra i due interventi, riscontrabile peraltro anche nel linguaggio architettonico con il ricorso ampio al motivo del bugnato utilizzato dal De Rossi. Più elegante e leggero il prospetto interno, dall’aspetto meno militaresco, come peraltro i fianchi, su cui si aprono tre piani di finestre. Al suo interno il fabbricato si presenta perfettamente simmetrico rispetto all’asse dell’androne; le parti laterali si sviluppano in alzato in piano terra, due piani e ammezzato situato fra questi; la parte centrale sull’androne è occupata da una grande sala a tutta altezza coperta con volta a botte. Nell’androne si aprono tre portoncini per lato, quelli centrali immettono nelle rampe di scale che portano ai piani superiori.
Come già detto, la porta fu ricostruita sulla precedente e le cronache contemporanee ricordano che Pio IX “non pur volle che novellamente si ricostruisse, ma con savissimo intendimento stanziò, che alla porta si congiugnessero le abitazioni pe’ gabellieri, e l’alloggiamento pe’ soldati che vi stanno alla guardia, sì che tutte insieme formassero una grande fabbrica”. Incorporata la porta del De Rossi l’intervento del Vespignani sancì però la distruzione dell’antica porta Aurelia, fino ad allora rimasta in piedi e utilizzata come controporta.
Gli avvenimenti recenti
Le mura urbaniane sul Gianicolo hanno costituito il confine della città costruita per lungo tempo e la Porta ha sancito il passaggio tra il “dentro” e il “fuori” anche amministrativamente essendo parte integrante della cinta daziaria. Questo stato si è mantenuto inalterato fino al primo dopoguerra, quando si realizzò il quartiere di Monteverde, previsto dal Piano Regolatore del 1909, nell’area immediatamente a sud della porta, a valle delle mura che recingono Villa Sciarra. In considerazione di questa espansione e per permettere il rapido collegamento con il centro della città successivamente (entro il 1929) furono tagliate le mura urbaniane ai fianchi della porta che restò così isolata accentuando il suo aspetto di arco trionfale.
Nel 1901 in ottemperanza della Legge n. 443 del 23 dicembre 1900, il Demanio del Regno consegnò al Comune di Roma le mura urbane, comprensive di tutte le porte della città e i fabbricati amministrati dal Demanio addossati alle mura e alle porte o poste presso di queste, e il pomerio interno ed esterno, che già il motu proprio di Pio IX del 2 ottobre 1847 aveva sancito come appartenenti all’Amministrazione della Città di Roma. In quella occasione furono distinti due tratti di mura: quello non più in uso come cinta daziaria e quello ancora in uso. Il primo “dal Lungotevere di sinistra presso porta del Popolo fino ai Tre Archi sulla Ferrovia prèsso Porta Maggiore e comprendente le Porte del Popolo, Pinciana, Salara, Pia, S. Lorenzo”, il secondo “estendentesi in un primo tratto dai suddetti Tre Archi al Tevere, comprendente le Porte Maggiore, S. Giovanni, Metronia Chiusa, Latina id., S. Sebastiano, S. Paolo e in un secondo tratto sulla riva destra del Tevere dal fiume al principio della cinta daziaria in legno presso la barriera Trionfale, comprendente le Porte Portese, S. Pancrazio, Cavalleggeri, Fabrica chiusa e Pertusa pure chiusa dopo la quale recinge il Monte Vaticano”.
Al momento della consegna gli ambienti interni insieme a quelli di un edificio prossimo alla porta erano occupati dalla caserma e dall’Ufficio daziario e pertanto furono contestualmente riconsegnati al Demanio per il proseguo delle attività connesse con l’amministrazione daziaria. Dal verbale di consegna abbiamo notizie sullo stato di conservazione e la disposizione interna. “La Porta si compone di n° 17 ambienti: dei quali 4 a piano terreno aduso Ricevitoria del dazio consumo e Corpo di guardia, 4 al 1° piano, 4 al 2° e 5 al 3°ad uso di Caserma per le guardie daziarie ed alloggio oltre un bel terrazzo sull’intiero fabbricato. Le facciate, le pareti interne, i pavimenti, le imposte ed anche l’asfalto del terrazzo si trovano in condizioni poco soddisfacenti”. A seguito di una perizia tecnica furono valutate in lire 1.177 “le opere di restauro generale riconosciute necessarie” e da farsi quanto prima.
Gli uffici daziari della porta, in seguito all’allargamento di questo tratto della cinta daziaria (1917) non tornarono subito in possesso dell’Amministrazione comunale ma passarono alla Guardia di Finanza che li mantenne almeno fino al 1924 e quindi divennero sede dell’Ufficio delle Imposte di Consumo (attivo nel periodo governatoriale). Nella ricognizione effettuata alle mura e alle porte nel 1942 risultarono presenti nella porta i seguenti occupanti: l’Associazione Unione Storia e Arte, la Milizia antiaerea, il custode e l’AGEA.
Nel 1938, infatti, l’AGEA, Azienda governatoriale elettricità ed acque (attuale ACEA), “a seguito dell’urgenza dl provvedere alla fornitura della nuova Acqua Vergine alle Case Popolari di Via Donna Olimpia Pamphilj e consentire nel contempo una maggiore dotazione di acqua al Sanatorio Forlanini” aveva richiesto al Governatorato “di costruire il manufatto idraulico per 1a distribuzione dell’acqua stessa, anziché nel giardino dell’ex Villa Corsini, in uno dei locali al piano terreno della Porta S. Pancrazio”. Il settembre di quell’anno fu stipulato 1’atto di consegna del locale richiesto “vano a piano terreno coperto a volta” con accesso diretto dall’esterno.
Nel gennaio 1949, in occasione del centenario, si pensò di adibire alcuni locali della porta a “Museo della difesa della Repubblica Romana del 1849”, o, come appare in alcune note, a “Mostra retrospettiva della passione romana nel Risorgimento”. I locali destinati a ospitare il Museo erano quelli nell’ala nord del fabbricato oltre al salone centrale, già in uso all’Associazione culturale “Unione Storia e Arte” e concessi nel 1943 all’Associazione Reduci Garibaldini. Il Museo, curato dal Comune tramite una Commissione da istituire, avrebbe dovuto raccogliere materiale formato da doni, lasciti ed eventuali depositi dal Museo del Risorgimento. L’anno successivo furono realizzati dei lavori di sistemazione degli ambienti per adattarli alla nuova destinazione e soprattutto sopperire ai danni provocati durante il periodo della requisizione militare. Dalla relazione preliminare redatta dai tecnici della Ripartizione X Antichità e Belle Arti (attuale Sovraintendenza comunale ai Beni Culturali) veniamo a conoscenza della situazione conservativa a quella data e degli interventi progettati. Gli infissi di porte e finestre erano di struttura grossolana e fatiscente e pertanto dovevano essere sostituiti con serramenti di buona fattura e di materiale scelto (le porte furono realizzate in rovere); i pavimenti in laterizio erano ridotti in pessimo stato, pertanto da sostituire con battuto alla veneziana (utilizzato insieme alle marmette di graniglia); i servizi igienici erano carenti e pertanto ne andavano costruiti di nuovi. Naturalmente si doveva intervenire anche sugli intonaci interni e si prevedeva di ripulire le pareti dell’androne e verniciare gli infissi delle porte dei locali terreni. A causa della poca luce presente nella grande sala era anche prevista l’apertura di tre piccoli lucernari in vetrocemento nella volta della sala per dare a questa una quantità di luce sufficiente ed uniforme, interventi che non furono realizzati. Il pavimento originario in mattoni fu invece lasciato nella stanza al secondo piano, chiamata “la prigione”, chiusa da una porta alla mercantile con spioncino per rendere più credibile l’allestimento.
Il 19 aprile 1951 l’Amministrazione Comunale consegnò i locali all’Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini per la realizzazione del Museo. Da allora è seguita un’annosa vicenda circa l’utilizzo e la gestione dei locali risoltasi solo negli anni Ottanta con il rinnovo della concessione alla predetta Associazione. Nel contempo fu avviato l’ordinamento dei materiali e della documentazione per la costituzione del Museo che è stato aperto al pubblico nel 1976 con due sezioni: la prima riguardante la Storia garibaldina risorgimentale e la seconda la storia e le vicende della Divisione italiana partigiana Garibaldi.
Il restauro
Nell’ambito del programma degli interventi per il Giubileo del 2000 particolarmente significativa è stata l’attenzione dedicata alle Mura Aureliane. Oltre ad alcuni tratti dell’antica cinta è stato eseguito il restauro di alcune tra le porte più importanti della città: Maggiore, del Popolo, Pia, San Paolo, San Giovanni, San Pancrazio.
Per la porta gianicolense si è trattato del primo intervento di sistemazione integrale che ha visto la destinazione di tutti gli ambienti a sede espositiva, con l’eliminazione dell’alloggio di servizio che occupava tutta l’ala destra. L’intervento, curato dal Dipartimento XII ai Lavori Pubblici e dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, ha interessato tutti gli ambienti interni – con la messa a norma di tutti gli impianti e la realizzazione di percorsi per il superamento delle barriere architettoniche con l’installazione di un ascensore e montascala – e i prospetti esterni in travertino, cortina laterizia e intonaco, con la riproposizione delle coloriture ottocentesche. Particolare cura è stata dedicata agli interventi sugli stemmi monumentali e sul portone ligneo, uno dei quattro antichi che ancora sono presenti nelle porte urbiche – gli altri sono collocati nelle porte di S. Paolo, Pia e del Popolo -, e già restaurato nel 1976. [Anna Maria Cerioni, Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, Monumenti Medioevali e Moderni]