Un chiaro esempio dei sacrifici dei Militari italiani impegnati all’estero
furono le Divisioni “Venezia” e “Taurinense” in Montenegro che,
disobbedendo agli ordini superiori, non accettarono la resa ai tedeschi
e costituirono unite la Divisione italiana partigiana “Garibaldi”
che seppe combattere e resistere per 18 mesi
rientrando in Patria armata ed efficiente
I reduci della divisione italiana partigiana “Garibaldi” e l’ANVRG hanno costantemente tentato, con grande rispetto di tutte le altre realtà resistenziali in Italia e dei militari italiani sorpresi dall’armistizio dell’8 settembre 1943 all’estero, di mettere in evidenza la peculiarità di questa Divisione che si fece partigiana restando Grande Unità dell’Esercito italiano, alleatasi con l’Esercito Popolare Jugoslavo, per partecipare volontariamente alla Resistenza al nazifascismo sino al marzo 1945 e contribuire così alla liberazione dell’Italia. Quei soldati italiani abbandonati dal Governo e dal Comando Supremo, non furono ispirati da alcun partito politico alla reazione dignitosa ed armata, ma spinti da amor di patria e dignità ed orgoglio di soldati. Ovviamente fu difficile e rischioso prendere decisioni per l’incerta situazione in cui l’annunzio dell’armistizio trovò le Grandi Unità fuori del territorio metropolitano, prive di direttive ed ordini che avrebbero dovuto pervenire e non pervennero.
Della trentina di Divisioni dislocate in Balcania, dalla Slovenia alla Grecia alle isole dell’Egeo, almeno tredici tentarono di reagire con maggiore o minore fortuna alla strategica manovra tedesca tesa ad ingabbiare gli italiani con ogni mezzo, dalle esortazioni, alle lusinghe, alle minacce, alle armi, sorretta dalla forza aerea, che agli italiani mancava (scarsi anche di contraerea) allo scopo di impossessarsi degli uomini e delle armi ed evitare il loro rientro in Italia.
Per quanto riguarda la Resistenza dei militari italiani all’estero dobbiamo ad oggi constatare e lamentare che il ricordo di essa è quasi sempre limitato alla sola vicenda della Divisione “Acqui” di Cefalonia, indubbiamente eroica e sfortunata per l’eccidio che di Essa i tedeschi ne fecero. Abbiamo sempre evitato di proporre paragoni di eroismo, di efficienza, di spirito patriottico e militare non solo fra le Unità che tentarono in qualche modo di reagire, compresi tutti coloro che a piccoli gruppi o isolatamente si schierarono contro i tedeschi, affiancandosi alle formazioni partigiane locali. Tutti sono degni, a parer nostro, della stessa riconoscenza per aver dato o rischiato fortemente la vita, con grandi sacrifici che la guerra partigiana all’estero ha comportato. Compreso il fatto che fino al giorno prima gli italiani erano stati gli occupatori, non certo desiderati, di quei territori. Questa situazione non favoriva, di per se, la fraternizzazione fra gli italiani ed i popoli ospitanti e nemmeno il loro inserimento operativo, nonostante il comune obiettivo di battere la Germania ed il nazifascismo. Altra notevole difficoltà che all’armistizio incontrarono le divisioni “Venezia” e “Taurinense” fu la situazione politica e militare della Jugoslavia, divisa caparbiamente fra i comunisti di Tito ed i cetnici di Mihailović, i quali ultimi, pur di contrastare i comunisti collaborarono con gli occupatori, italiani o tedeschi che fossero.
Essendo le Grandi Unità italiane dislocate nei Balcani prive di direttive, ogni Comando dovette giocoforza orientarsi da solo con ogni urgenza perché i tedeschi, già nella notte fra l’8 ed il 9 settembre iniziarono ad attuare il piano preparato da tempo in caso di prevista resa dell’Italia. Non fu obiettivamente facile: quel che generalmente, per i più, fu la prima o l’unica preoccupazione angosciosa fu quella di togliersi di lì e rimpatriare in qualsiasi modo, inquadrati o isolati, generali o semplici soldati. Ma ci furono anche esempi straordinari di lucidità, di dignità, di eroismo. Eccezioni forse, ma ci furono. Sono le eccezioni che vanno messe in evidenza perché siano e restino esempi educativi.
Nella confusione generale che esplose nelle Forze Armate in Italia ed all’estero all’annunzio dell’armistizio, la lettura o rilettura del diario storico della Divisione “Venezia” relativa alla giornata dell’8 settembre 1943, redatta dal Capo di Stato Maggiore probabilmente la sera o la notte stessa, comunque nell’immediatezza dell’esame della situazione nuova che si era presentata al Comando della Divisione, induce ad un’attenta riflessione. Lo pubblichiamo in calce a questo articolo che intendiamo dedicare al 60° della Resistenza.
E’ un esame realistico e lucido della situazione sia da un punto di vista militare sia politico. Riconosce ed assume subito responsabilità di Comando in proprio; accoglie l’ordine del Comando superiore (XIV C.A.) di distruzione di un ponte sul fiume Tara e dispone della distruzione di altro ponte sul fiume Lim; ordina di mettere in stato d’allarme tutti i reparti e presidi dipendenti e di «effettuare la resistenza ad oltranza contro chiunque attaccasse o richiedesse la cessione delle armi.»
Traspare la preoccupazione per lo «stato d’animo dei nostri soldati, già scossi dagli avvenimenti del 25 luglio». In questo la previsione sarà clamorosamente smentita nei giorni successivi quando tutti, ufficiali e soldati della Divisione, messi a conoscenza degli inaccettabili ordini di resa ai tedeschi, impartiti dal comandante della 9^ Armata (f. n. 9040/op del 12.9.43), approvarono con entusiasmo la dichiarazione del Gen. Oxilia di essere «impossibile accettare simili degradanti condizioni senza venir meno al proprio onore di soldati ed alle eroiche tradizioni della “Venezia”».
Seguiranno giorni difficili, obiettivamente difficili, nei quali lo “sbandamento”generale delle Forze Armate, specialmente dell’Esercito, fu evidente e clamoroso, vi furono anche Reparti ed Uomini d’eccellenza che lottarono per l’onore d’Italia. Fra questi pongo in prima linea la Divisione italiana partigiana “Garibaldi” (ex Venezia e Taurinense) con i suoi 3556 Caduti accertati, i 5.000 circa Dispersi (come li consideriamo oggi?), le 2.166 decorazioni al V.M. concesse, delle quali 8 d’oro, 1 d’argento, 1 di bronzo a reparti; 8 d’oro, 87 d’argento, 350 di bronzo, 713 croci di guerra al V.M. a singoli. Essa restò Unità dell’Esercito Italiano, adattò i suoi organici alla guerriglia in montagna all’estero, combatté e resistette a tutte le avversità che si scatenarono su lei per ben diciotto mesi (non pochi giorni), non si arrese mai e rientrò in Italia armata ed efficiente. L’unica. Per il suo scarso numero di presenti al rientro in Italia, avendo chiesto con atto volontario singolo di continuare a combattere in Italia, fu ridotta a Reggimento, che ebbe la sola fortuna che il 25 aprile 1945 trovò su la linea del fronte assegnatogli solo i forieri d’alloggiamento appena giunti. La guerra finalmente era finita ed il pensiero predominante che si portarono a casa fu: mai più la guerra.
Va anche chiarito che la Divisione italiana partigiana “Garibaldi”, costituita con l’unione di quanto restava al 2 dicembre 1943 delle Divisioni ”Venezia e “Taurinense”, non fu mai una “formazione” comunista, come superficialmente viene nei corridoi di palazzo considerata per aver lealmente combattuto inquadrata nell’Esercito di Tito, con i propri simboli e distintivi dell’Esercito Italiano. Insomma partigiani con le stellette.