I Garibaldi dopo Garibaldi, terza generazione e sfide del ‘900

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di Cesare Protettì

“I Garibaldi dopo Garibaldi. La terza generazione e le sfide del Novecento” è il titolo di un importante e voluminoso saggio (396 pagine, ed. Le Lettere, 2022), curato da Zeffiro Ciuffoletti, Annita Garibaldi Jallet e Alberto Malfitano e presentato nei giorni scorsi a Roma al Museo della Repubblica romana e della Memoria garibaldina.

Si tratta di un luogo simbolo, sede dell’ANVGR (l’Associazione nazionale Volontari e reduci garibaldini) che si trova sul Gianicolo all’interno della Porta San Pancrazio che fu scenario di uno dei principali scontri per la difesa della Repubblica romana nel giugno del 1849.

Un libro, come spiega Eva Cecchinato nell’introduzione, che è “coraggioso” perché “non è per nulla celebrativo o conciliante” e affronta “con precisione, equilibrio e senza timori reverenziali nodi assai delicati”. I diversi saggi che lo compongono si concentrano sulla terza generazione dei Garibaldi, quella dei nipoti dell’eroe dei Due Mondi e di Anita: in particolare sui figli di Ricciotti e dell’inglese Constance Hopcraft (1853-1941) sposata nel 1874 e dalla quale ebbe dieci figli, sette maschi e tre femmine. Il primo, Peppino, nato a South Yarra, in Australia, dove la giovane coppia si era trasferita nei primi sette anni del loro matrimonio.

Che non si tratti di un saggio agiografico lo si intuisce già dai titoli di alcuni capitoli del libro come quello di Andrea Spicciarelli, “Un Garibaldi compromesso”, dedicato a Ricciotti Junior (Roma 1881-Roma 1951), doppiogiochista,  o quello di Alberto Malfitano, “Ezio, garibaldino  fascista”. Ma c’è anche equilibrio nel raccontare, con Annita Garibaldi Jallet,  le “Storie di ordinario eroismo femminile: le donne della famiglia Ricciotti Garibaldi”, o la figura di Sante Garibaldi “Nel nome della tradizione” (il saggio è di Matteo Stefanori). Sante (Roma 1885 – Bordeaux, 1946, il padre di Annita Garibaldi Jallet, oggi presidente onoraria ANVGR ), fu l’unico figlio di Ricciotti antifascista, prima costretto all’esilio e poi deportato in vari campi di concentramento nazisti, tra i quali Dachau. Da quei campi tornò profondamente segnato dagli stenti e morì dopo pochi mesi dalla sua liberazione.

C’è oggettività storica anche nel riflettere sulla continuità dell’eredità garibaldina come fanno Giuseppe Monsagrati del saggio introduttivo “La tradizione continua?” e Zeffiro Ciuffoletti “I Garibaldi dopo Garibaldi e noi”.

Rispetto alle vicende dei nipoti di Garibaldi è tuttavia “impossibile – come scrive Eva Cecchinato – prescindere dalle scelte del padre Ricciotti e dalla lettura che egli diede della tradizione garibaldina con tutte le ricadute pubbliche e private che ne conseguirono. E in effetti, superando vuote rappresentazioni eroicizzanti (e in fondo disumanizzanti), la dimensione privata e familiare entra a pieno diritto nelle pagine del libro, non quale nota di colore o dettaglio aneddotico, ma come una delle chiavi di lettura di scelte politiche e come sostanza profonda, insopprimibile, nei percorsi di chiunque si sia trovato a vivere esposto alla bufera delle tragedie e delle lotte del Novecento italiano, europeo, globale”.

Nel 1897, per esempio, troviamo Ricciotti combattere in Grecia nella battaglia di Domokos, dove i garibaldini si sacrificarono, lasciando sul campo, tra gli altri, il deputato repubblicano Antonio Fratti, per coprire la ritirata all’esercito greco, e nel 1912 a Drisko, al comando di un corpo di camicie rosse, combattendo in difesa della Grecia contro l’Impero ottomano.

Convinto interventista, Ricciotti non partecipò (ormai era anziano) alla prima guerra mondiale, ma incoraggiò a farlo i suoi figli, inquadrati nella Legione garibaldina. Due di loro, Bruno (1889 – 1914) e Costante (Roma 1892 – 1915) morirono nella battaglia dell’Argonne.

Alla presentazione del libro, il 15 ottobre scorso, moderata da Fabio Pietro Barbaro, Presidente della Sezione di Roma dell’ANVRG, hanno partecipato Annita Garibaldi Jallet, Giuseppe Monsagrati, presidente della Commissione nazionale Edizione Scritti di Mazzini, Andrea Spicciarelli, direttore dell’Ufficio storico PSP, Raffaella Ponte, consigliere nazionale ANVGR e presidente della sezione di Genova-Chiavari. Le conclusioni sono state affidate ad Alberto Malfitano, professore di Storia contemporanea dell’Università di Bologna e coautore del libro.