Giovedì 1 giugno al cinema Farnese di Roma è stata proiettata per la prima volta in sala la versione integrale del film documentario “La versione di Anita” ricevendo dal pubblico una calorosa accoglienza. Erano presenti in sala il regista, Luca Criscenti, la sceneggiatrice, Daniela Ceselli, i protagonisti: Flaminia Cuzzoli (Anita) Lorenzo Lavia (Garibaldi) e tanti altri che a vario titolo hanno contribuito alla riuscita dell’opera.
Il regista ha raccontato di come, ispirato dal libro di Silvia Cavicchioli “Anita. Storia e mito”(Einaudi 2017), un’opera letteraria che insiste sul raffronto tra la biografia di Anita e la narrazione che ne è stato tratta, egli abbia cercato di ridare al personaggio di Anita la sua vera dimensione.
Anita Garibaldi, al secolo Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, è una delle più importanti figure femminili rivoluzionarie. Nata, a Laguna, in Brasile, il 30 agosto del 1821 da una famiglia molto umile, dotata di forte temperamento, cominciò fin da piccola a rifiutare ogni regola che la società imponeva, soprattutto circa il ruolo femminile. Proprio per porre freno a questo suo temperamento indomito, a 14 anni, morto il padre, la famiglia la costrinse a sposare un uomo molto più grande di lei di nome Manuel Duarte. Una unione senza amore, finita quando Duarte si arruolò nell’esercito imperiale, allontanandosi dalla giovane moglie. Grazie a uno zio paterno, Anita iniziò ad appassionarsi alla politica e a credere fermamente nella causa della libertà e nella giustizia sociale. La rivoluzione che attraversò in quegli anni il Brasile la vide partecipe e schierata coi ribelli.
Il 27 luglio del 1839 Giuseppe Garibaldi (allora guerrigliero corsaro al servizio della Repubblica del Rio Grande do Sul) conobbe Anita e fu un colpo di fulmine. Da quel momento la vita di Anita si intreccia con quella dell’eroe dei due mondi pertanto le vicende storiche sono note; ma vale la pena di ricordare un episodio che mostra la tempra di questa donna. Nel 1840, a soli 19 anni, partecipò alla battaglia di Curitibanos, in cui cadde prigioniera delle truppe imperiali brasiliane e, nonostante le avessero fatto credere che Garibaldi era deceduto, lei riuscì a fuggire attraversando da sola a cavallo territori impervi ed inospitali fino a riuscire a ritrovare il compagno.
Il regista è riuscito perfettamente nel suo intento di dare finalmente voce ad Anita, facendola emergere dall’ombra in cui la figura di Garibaldi, l’eroe dei due mondi, aveva finito per relegarla. E’infatti la stessa protagonista che si racconta e quando lo fa assume abiti e aspetto di una donna di oggi, che rilegge il suo passato e lo commenta. Si muove con scioltezza in jeans e giubbino in pelle, nei luoghi che la videro protagonista, e rilascia anche un’intervista al giornalista radiofonico Marino Sinibaldi, che interpreta se stesso. Questo escamotage funziona egregiamente: sottolinea infatti la attualità di Anita quale figura di donna capace di uscire dagli schemi imposti dalla società per perseguire ideali di libertà e giustizia; e soprattutto consente alla protagonista di parlare direttamente; al compagno, Giuseppe Garibaldi, chiarendo così aspetti della loro relazione, agli storici mettendone talora in discussione le fonti e la ricostruzione di vicende che la riguardano e , guardando fissa nell’obiettivo, parla direttamente al pubblico di cui suscita partecipazione e interesse.
Questa donna, per sempre giovane essendo morta a soli 28 anni, arriva finalmente alla casa della diretta discendente, Annita Garibaldi Jallet, nipote di Ricciotti, che parla di lei con affetto e orgoglio.